ADHD nell’adulto

L’eccessiva focalizzazione su stimoli irrilevanti, la scarsa abilità nell’organizzare sia procedure mentali che comportamenti complessi, in famiglia, sul lavoro, sono tutti esempi di sintomi di ADHD nell’adulto. L’ADHD dell’adulto è stato riconosciuto come categoria diagnostica nella nuova versione del DSM-5. I criteri sono gli stessi della diagnosi pediatrica, tuttavia, nell’adulto, per diagnosticare la patologia, sono sufficienti 5 sintomi di una o di entrambe le dimensioni (disattenzione e iperattività). Va tuttavia segnalato che la valutazione in età adulta è un processo complesso in quanto la sintomatologia riferita all’età evolutiva è di difficile richiamo. Con l’aumentare dell’età, emergono, in modo in parte organizzato e prevedibile, le diverse comorbidità, il quadro clinico si fa più complesso, l’ADHD diventa una componente del quadro clinico, non necessariamente la più rilevante (Masi, 2012). Spesso nell’età adulta si assiste ad una riduzione della severità dei sintomi (soprattutto l’iperattività); nel 60% dei casi, tuttavia, i sintomi residuano in modo importante e nel 90% dei casi permane una disfunzione (Biederman et al., 2000).

Gli adulti, invece, nella maggior parte dei casi lamentano soprattutto sintomi della sfera attentiva e
problemi di organizzazione, poiché queste sono le aree maggiormente esposte a carico prestazionale. Solitamente, con la crescita, i soggetti sviluppano delle strategie di adattamento che gli permettono di superare queste difficoltà, ad esempio, grazie all’utilizzo di agende con le quali organizzare la loro vita, mentre nei bambini è spesso necessario l’intervento di figure esterne quali genitori e insegnanti. Pertanto può capitare che le difficoltà conseguenti al quadro psicopatologico si manifestino solo nel momento in cui vengano a mancare queste forme di aiuto, ad esempio quando i soggetti affetti lasciano l’ambito familiare e diventano indipendenti. La disattenzione si manifesta, a livello comportamentale, come divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, difficoltà a mantenere l’attenzione e disorganizzazione. L’iperattività si riferisce ad una eccessiva attività motoria o una eccessiva loquacità in momenti in cui essa non è appropriata (APA, 2013). Negli adulti l’iperattività si può manifestare come un’estrema irrequietezza, che si può esprimere sia esternamente che internamente. L’impulsività si riferisce al compimento di azioni affrettate e non premeditate, in grado di comportare un potenziale danno per sé stessi o per altri. L’impulsività può riflettere un desiderio di ricompensa immediata o l’incapacità di ritardare la gratificazione. I comportamenti impulsivi possono manifestarsi come invadenza sociale, ad esempio, interrompere gli altri in maniera eccessiva oppure prendere decisioni importanti senza considerarne le conseguenze.

Compromissione “Impairment”

L’ADHD è fonte di disadattamenti in ambito scolastico/lavorativo, sociale e nella pianificazione
della vita quotidiana. Nelle forme franche l’evoluzione nel tempo implica l’induzione di fenomeni ricorsivi che tendono ad aggravare il livello di disadattamento e di malessere del paziente, alimentando le comorbilità psichiatriche molto spesso presenti sin dall’età scolare e promuovendo la comparsa di quadri psichiatrici che potranno mascherare il disturbo sottostante. Così se a livello della compromissione funzionale globale un bambino in età scolare potrà esperire una bassa autostima, maggior esposizione a incidenti, al fumo, a esperienze trasgressive, a difficoltà accademiche e scarse relazioni sociali adeguate con maggior esposizione a relazioni con gruppi devianti, con l’evolversi del quadro e lo scorrere del ciclo vitale si troverà in età adolescenziale/adulto giovanile ai rischi espressi in uno studio nordamericano:

– Non completare l’obbligo scolastico: 32-40%
– Iscriversi all’Università o completarla: 5-10%
– Malattie sessualmente trasmissibili: 16%
– Isolamento sociale (50-70%)
– Più frequenti fatti antisociali e incidenti stradali
– Più frequenti Gravidanze sotto ai 20 aa. (International Consensus Statement on ADHD; January 2002).

In uno studio prospettico che ha comportato un follow-up di 33 anni dopo la diagnosi fatta a 8 anni, su un campione: 135 soggetti di sesso maschile con ADHD in infanzia senza Disturbi di Condotta ed un campione controllo di. 136 uomini ADHD free in infanzia si ha conferma delle maggiori difficoltà di realizzazione scolastica, lavorativa e sociale, con un maggior numero di divorzi, di condotte antisociali, e di abuso di sostanze, di incarcerazioni e ricoveri psichiatrici. (Rachel G. Klein, Salvatore Mannuzza, Maria A. Ramos Olazagasti, et alii. JAMA Psychiatry. Dic 2012. In uno studio inglese condotto sui detenuti di carceri svedesi evidenziava come il numero di persone con ADHD non diagnosticata e trattata era molto superiore al numero dei carcerati ADHD free o in terapia (Ginsberg et al. BMC Psychiatry 2010, 10:112).

Strumenti diagnostici (raccomandazione per i test di valutazione)

Sono disponibili molteplici strumenti di screening e diagnostici, molti dei quali tradotti in differenti lingue. Esistono dei questionari che permettono di effettuare uno screening tra i soggetti in cui vi è un sospetto di ADHD. Consentono infatti di selezionare quei pazienti in cui è opportuno eseguire ulteriori indagini; non hanno quindi, da soli, un valore diagnostico. Per la diagnosi nella fanciullezza, questi questionari vengono somministrati ai genitori o in alternativa agli insegnanti; i più utilizzati sono questionari di Conners (IOWA CONNERS, scale SWAN e SNAP). Negli adulti, per lo screening, si utilizzano per lo più dei questionari che possono essere compilati dal paziente stesso. Un esempio è l’ADHD Rating Scale (Pappas, 2006). Questo test è basato sul DSM-IV (APA, 1994) e include 18 domande, una per ogni criterio diagnostico, riformulate per rappresentare meglio, per gli adulti, i sintomi tipici dell’ADHD. La versione ridotta, l’Adult ADHD Self-Report Scale versione 1.1 (ASRS-v1.1), è stata sviluppata dagli esperti dell’OMS selezionando 6 items dei 18 dell’ADHD Rating Scale sulla base di una regressione logistica sequenziale. Si stima che tale questionario abbia una sensibilità pari a 68,7% ed una specificità del 99,5% (Kessler et al., 2005b). Il test è positivo qualora almeno 4 risposte risultino superiori al cut- off significativo, ricadendo quindi nelle caselle evidenziate con un colore più scuro. Il test è stato validato nel 2007 (Kessler et al., 2007).

Se lo screening risulta positivo è sempre necessario procedere con una valutazione diagnostica
completa. Per guidare il processo diagnostico sono disponibili altri questionari autosomministrati. I due più utilizzati in America sono il CAARS (Conners’ Adult ADHD Rating Scale) e il BADDS (Brown Attention-Deficit Disorder Scale), per i quali diversi studi condotti hanno dimostrato una validità equivalente. Per quanto riguarda il CCARS, si distinguono versioni brevi e lunghe e versioni che possono essere somministrate al paziente o ai famigliari. Questo test indaga, tra l’altro, i criteri del DSM-IV (APA, 1994). Il BADDS, invece, non valuta i criteri del DSM-IV (APA, 1994), non indaga gli aspetti di impulsività/iperattività (Brown, 1996), ma si focalizza sulle funzioni esecutive nelle aree di attenzione e di problemi di organizzazione. La WURS (Wender Utah Rating Scale) è una scala più ampia, in quanto indaga anche la presenza di sintomi propri di altri disturbi, spesso presenti in comorbidità negli adulti affetti da ADHD. Per una diagnosi accurata nell’adulto, gli strumenti più indicati sono le interviste strutturate soprattutto se effettuate in presenza del genitore. La Conners Adult ADHD Diagnostic Interview for DSM-IV (CAA-DID) e la Diagnostic Interview for ADHD in adults (DIVA) sono le scale validate più diffuse. Entrambe si basano sui criteri diagnostici del DSM-IV (APA, 1994), per ognuno dei quali vengono forniti esempi concreti, sia per la fanciullezza che per l’età adulta, al fine di facilitare al paziente il riconoscimento del sintomo (Kooij, 2012); la DIVA ha inoltre una sezione dedicata alla valutazione dettagliata del funzionamento. Attualmente, non esistono esami neurobiologici o neurofisiologici con sensibilità e specificità tali da poter essere utilizzati per la diagnosi di ADHD (Boonstra et al., 2005).

Patente di guida e farmaco

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità quella per incidente stradale è l’ottava causa di
morte nel mondo e la prima nei giovani (WHO. Global Health Estimates 2016). Una recente meta-analisi di letteratura, ha riportato che i pazienti affetti da ADHD abbiano una guida più spericolata, con più frequenti infrazioni del codice della strada, maggiori revoche della patente e un numero più alto d’incidenti con colpa e un rischio relativo quasi doppio (1,88 volte) di andare incontro a collisione rispetto ai soggetti non affetti da ADHD (Vaa, 2014). Nella stessa meta-analisi emerge un dato importante riguardante l’età. In generale è comunemente riconosciuto che la giovane età e, nella fattispecie, l’inesperienza aumenti il rischio di avere incidenti stradali, ma nei giovani affetti da ADHD quest’associazione è sicuramente più saliente. Questo suggerisce una difficoltà di apprendimento e tempi più lunghi nel raggiungere un automatismo nel comando dell’autoveicolo nei soggetti ADHD (Surman et a., 2017). In particolare, è stato evidenziato come il rischio d’incidente stradale sia più alto durante la cosiddetta guida monotona in cui la ridotta stimolazione ambientale può portare più facilmente a errori di distrazione e come questo rischio tenda a migliorare in modo significativo con il trattamento farmacologico (Biederman et al., 2012).

Una recente revisione di letteratura effettuata da Surman et al. (2017) ha analizzato a fondo l’effetto sulla prestazione alla guida di autoveicoli del trattamento farmacologico di indicazione per l’ADHD. I lavori presenti in letteratura hanno valutato tal effetto utilizzando simulatori di guida (9 studi), raccogliendo informazioni e impressioni riportate direttamente dal guidatore affetto da ADHD (9 studi) o infine valutando le condotte direttamente sulla strada con l’ausilio di riprese video o addirittura di un osservatore/valutatore presente sull’autoveicolo (6 studi). Quest’ultimo metodo di valutazione ha permesso anche di evidenziare il tipo di errori più frequenti commessi dai guidatori affetti da ADHD che sono di natura impulsiva, come non mantenere distanze di sicurezza e dimenticarsi di segnalare il cambio di direzione (rispettivamente 8 e 47 volte di più dei controlli) e di natura inattentiva, come essere distratti da interferenze ambientali all’interno dell’autoveicolo e agire in modo esitante con frenate inopportune. Secondo la letteratura riportata da Surman et al. (2017) tutti i principali trattamenti per l’ADHD (metilfenidato, atomoxetina e lisdexamfetamina dimesilato) hanno dimostrato efficacia nel migliorare la qualità di guida dei pazienti affetti da ADHD, non necessariamente correlata al miglioramento clinico del disturbo. Dalla revisione emerge inoltre l’importanza dei dosaggi del farmaco poiché aumentando la dose quotidiana di farmaco aumenta l’effetto. Gli autori in tal senso rinforzano il concetto già sottolineato in altri campi di studio (effetto sui sintomi, effetti sulla prestazione lavorativa e scolastica, ecc…) dell’importanza di mantenere massimi dosaggi del farmaco per raggiungere significativi miglioramenti nella prestazione di guida.

Infine, Surman et al. (2017) evidenziano l’influenza del tempo poiché l’effetto del farmaco sembra ridursi allontanandosi dalla somministrazione. Questo come suggerito dagli autori può essere interpretato come peculiare peggioramento della prestazione di guida nei soggetti affetti da ADHD che sovrasta l’effetto del trattamento o come perdita d’efficacia del farmaco nel corso della giornata. In tal senso, è il clinico ad avere ruolo fondamentale nel variare dosi e tempi anche in base alla performance di guida (e globale) individuale. Cercando di applicare i risultati di letteratura alla pratica clinica quotidiana sembrerebbe importante il trattamento tempestivo del disturbo che dovrebbe anticipare il periodo di acquisizione della licenza di guida e dovrebbe continuare nel tempo al fine di garantire un livello di prestazione ottimale. Tale tipo di approccio dovrebbe favorire una normalizzazione del periodo di apprendimento degli automatismi considerati fondamentali nel ridurre l’elevato rischio di incidente caratteristico dei primi mesi/anni di guida. Il trattamento dovrà essere adeguato per tempi e dosaggi al contesto funzionale e clinico individuale, ma comunque dovrebbe seguire il principio del massimo dosaggio tollerato, poiché la prestazione sembra migliorare con l’aumento dei dosaggi.

La legge italiana non tiene conto in modo specifico dell’ADHD nel definire indicazioni rispetto al rilascio o al rinnovo della patente di guida. All’interno del D.lgs. 59/11 si fa riferimento alle turbe psichiche condizionanti la guida nell’allegato III, lettera G, parlando di gravi turbe psichiche e disabilità intellettive che possono talora accompagnare una diagnosi di ADHD, ma che in alcun modo ricadono nei criteri diagnostici (comorbilità). Il decreto rimanda comunque alla commissione medica per quanto riguarda l’argomento farmaci in particolar modo se psicotropi o stupefacenti. (allegato II, lettera F). Per questo motivo, dal punto di vista riabilitativo, rimane un problema attuale quello del rilascio e rinnovo della patente di guida nel paziente affetto da ADHD in Italia. Spesso, infatti, l’impossibilità di ottenere e mantenere la licenza alla guida rappresenta un ostacolo invalicabile al fine di ottenere un’occupazione e quindi di raggiungere un esito soddisfacente dal punto di vista del funzionamento lavorativo.